Con occhi nuovi #7: c’è un tempo per…


di: Massaccio
Pagamento del tributo
Chiesa di Santa Maria del Carmine (Firenze), affresco, 1425
Il Tributo fa parte del ciclo delle Storie di Pietro, realizzato da Masolino di Panicale in collaborazione con l’allievo Masaccio nella Cappella Brancacci, presso la chiesa di S. Maria del Carmine a Firenze. Il giovane Masaccio lavora affiancando il maestro, ma in questo episodio, che gli viene attribuito interamente dalla critica, fa emergere nettamente il suo stile energico e di profonda gravità. Sarà un breve astro nel panorama artistico del primo Quattrocento, spegnendosi improvvisamente all’età di 27 anni, ma il suo lascito resterà il punto di riferimento per i grandi del Rinascimento che gli succederanno.
Il Tributo si compone di tre scene: nella stessa porzione di muro vivono contemporaneamente tre azioni. Si tratta di una caratteristica tipica già dell’arte medievale, dove la narrazione veniva rappresentata in modo continuativo, senza cornici e talvolta anche sovrapponendo episodi successivi, in un ciclo unico e senza soluzione di continuità. Progressivamente poi si andrà affermando il principio per cui ad ogni scena è destinato il suo spazio, con una quadratura che separa, un’architettura, una quadratura, un elemento ‘separatore’ che renda esplicito il passaggio da un momento all’altro.

Nel Tributo si narra il miracolo che compie Gesù facendo trovare a san Pietro nella bocca del pesce il soldo necessario per il pagamento del pedaggio per l’ingresso nel tempio della città di Cafarnao (Mt 17, 24-27). Masaccio sintetizza in un’unica inquadratura tre momenti nettamente distinti: il Cristo tra gli apostoli che indica a Pietro cosa fare; il ritrovamento del soldo; il pagamento del dazio. L’incredibile maestria dell’artista sta nel rendere esplicito il collegamento tra le scene attraverso degli elementi ricorrenti che fanno da indicatori del senso di lettura. I colori delle vesti dei protagonisti si ripetono identici e indicano che si tratta degli stessi, intenti in azioni diverse; la scenografia del paesaggio cattura i movimenti dei corpi focalizzandoli nel momento centrale del miracolo, quando Gesù, vero fulcro della composizione, indica a Pietro ciò che dovrà fare. Dunque, a partire dal centro della scena, che è naturalmente la prima cosa su cui l’occhio dell’osservatore si posa, ci si sposta verso gli altri due momenti focali della storia perché vengono indicati dalla prospettiva costruita dagli edifici, dal profilo dei monti che digrada sul fondo e dal gesto inequivocabile di Cristo. Ammiriamo allora il compimento del miracolo, sulla sinistra, e il pagamento del tributo, a destra.

All’inizio del percorso quaresimale, mi lascio suggestionare da quello che vedo come un ricorrere del tempo nell’affresco, una centralità del ritmo della rappresentazione che, pur se non linearmente posto, suggerisce invece un ordine magnificamente pensato. Rifletto su quanto la rappresentazione di Masaccio assomigli alla mia vita. Spesso la vivo come un’accozzaglia di cose che mi capitano una dietro l’altra e il filo rosso che cerco sembra essere unicamente il vestito dello stesso colore che mi identifica come il protagonista, o meglio, la vittima, IO. L’abito è sempre quello. Solo che nell’affresco fiorentino riconosciamo l’episodio biblico, per di più è narrato da uno dei più grandi artisti del primo Rinascimento e viene facile collegare un capo all’altro della scena, capirne il senso: per Masaccio risulta facile collocare “ogni cosa a suo tempo”.

Avrei bisogno che anche nella mia quotidianità ci fosse un ‘Masaccio’ capace di indirizzare le mie emozioni, la mia impulsività, le fatiche non capite e mal sopportate, verso il senso più profondo, come fa con i profili delle montagne sullo sfondo dell’affresco, che convergono dolcemente verso il gesto emblematico e risolutivo di Cristo. Come vorrei che l’incredibile plasticità materica che l’artista ha saputo dare ai panneggi delle sue figure, pesanti perché estremamente concrete, ancorate al suolo, occupanti uno spazio autentico, fosse nella mia vita la pesantezza di chi è pieno, di chi ha sapore, e non quella del cuore, di chi è stanco e si lascia ingobbire dalla vita. Gli storici dell’arte celebrano l’opera di Masaccio nella cappella Brancacci come il mirabile esempio di arte in trasformazione, che esce dalla bidimensionalità spirituale, ma lontana, del Medioevo trecentesco, per approdare verso una razionalità, anche un po’ eroica, che riesca a scalfire gli uomini del tempo, che sappia parlare, comunicare con l’uomo che si fa incredulo e che cerca di vedere Dio più uomo in terra che in Cielo.
Mi sento molto vicina a quest’uomo testardo del primo Rinascimento, e per la Quaresima che sta iniziando chiedo lo sguardo artistico di Masaccio, che sappia leggere bene la prospettiva sui frammenti caotici della mia vita, sappia mettere ordine secondo gli occhi di Dio e collegare con santa armonia quello che non riuscirebbe ad un pennello solo razionale, perché c’è un tempo per ogni cosa e a nulla varrebbero le fatiche dell’uomo senza questa fiducia in Lui.
Dal libro del Qoelet (Qo 3, 1-11)
“Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo.
C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato.
Un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via.
Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace.
Che guadagno ha chi si dà da fare con fatica? Ho considerato l’occupazione che Dio ha dato agli uomini
perché vi si affatichino. Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo; inoltre ha posto nel loro cuore la durata
dei tempi, senza però che gli uomini possano trovare la ragione di ciò che Dio compie dal principio alla fine.”